mercoledì 28 aprile 2010

Difendiamo la vita


Interrogazione a risposta scritta

Al ministro della Salute

Per sapere, premesso che:

- in data 27 aprile 2010 alcuni giornali ed agenzie di stampa hanno riportato il caso sconcertante di un aborto terapeutico conclusosi con la sopravvivenza del feto abortito ma abbandonato a se stesso sul tavolo di metallo della sala operatoria dove era avvenuto l’operazione della donna;
- l’aborto terapeutico è stato praticato su una donna alla 22esima settimana di gestazione, poco più di cinque mesi di gravidanza, a causa di un malformazione del feto;
- stando alle notizie riportate dai media e dai testimoni, il cappellano dell’ospedale di Rossano nella giornata di sabato 24 aprile 2010 essendosi recato in prossimità dei locali dove era avvenuto l’intervento chirurgico per pregare accanto al piccolo cadavere del feto, abortito quattro ore prima, si sarebbe reso conto dopo qualche minuto che sotto le garze che lo ricoprivano, il piccolo corpo si muoveva e respirava ancora nella completa e totale noncuranza del personale medico;
- il sacerdote avrebbe lanciato l’allarme ed il piccolo sopravvissuto sarebbe stato trasportato d’urgenza all’ospedale di Cosenza, dove è presenta un reparto per i neonati prematuri. Presso la struttura sanitaria i medici si sono attivati con tutti i mezzi possibili al fine di tenere in vita il neonato, ma il grave quadro clinico dovuto alle malformazioni nonché alle poche settimane di gestazione lo hanno condotto alla morte dopo 48 ore dall’intervento chirurgico abortivo operato sulla madre;
- ai sensi dell’art.7 della Legge n. 194 del 1978 contenente Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza qualora sussista la possibilità di vita autonoma del feto, il medico che esegue l'intervento è chiamato ad adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto;
- stando alle dichiarazioni di medici e neonatologi, un feto – espiantato dall’utero materno a seguito di intervento abortivo - sebbene presenti un quadro clinico complesso può sopravvivere anche diverse ore a seguito dell’intervento ed in molti di questi casi il personale sanitario si troverebbe in grave difficoltà operativa, in considerazione del fatto che la normativa – che risulta essere pertanto poco chiara e completa in merito ala questione sollevata - non impone il monitoraggio della condizione del feto espiantato, se sopravviva o meno al trauma dell’intervento;
- la fattispecie in esame lascia emergere anche un ulteriore controsenso poiché evidenzierebbe una posizione complessa del medico che - abilitato all’esecuzione dell’aborto quindi alla morte del feto stesso – dovrebbe essere tenuto a salvaguardarne la vita qualora questo sopravviva all’intervento, senza però averne l’obbligo di monitoraggio delle condizioni post-traumatiche;
- la vicenda di Rossano squarcia un velo su un dramma silenzioso a cui mai è stata data attenzione e che rischia di essere etichettato come caso raro nell’ambito del panorama sanitario italiano:
se si ritiene opportuno avviare un percorso di analisi della situazione di gap normativo evidenziata in premessa, e se si intende intervenire sulla normativa di riferimento al fine di meglio definire le procedure di intervento e di monitoraggio medico nonché le responsabilità dei medici chiamati ad operare un aborto terapeutico, segnatamente nei casi in cui l’aborto sia praticato dopo i primi 90 giorni di gravidanza, quando le possibilità di vita autonoma del feto espiantato sono più elevate.

Roma, 27 aprile 2010

On. Di Biagio Aldo
On. Mazzocchi Antonio